FORMAGGIO di FOSSA di Sogliano al Rubicone
Il formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone, in provincia di Forlì, nel 2009, ha ottenuto il marchio D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) assegnato dalla comunità europea ai prodotti fabbricati con metodi e usanze tramandate nei secoli. La tecnica per la produzione del formaggio di Fossa, era già presente nel Rinascimento ai tempi della signoria dei Malatesta. Il marchio europeo D.O.P. tutela i prodotti storici, di un determinato territorio e tiene conto anche dei fattori climatici e ambientali che condizionano le caratteristiche del prodotto. La nuova denominazione è “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone D.O.P.”. Il formaggio di fossa, tipico di Sogliano, è prodotto anche in altre colline di Forlì-Cesena, Rimini e nel Montefeltro. Il latte dei bovini e degli ovini deve provenire da allevamenti in stalle o pascoli naturali, compresi nelle province di Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna, Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno e parte della provincia di Bologna, nel comprensorio di Imola e Castel San Pietro…L’alimentazione degli animali deve essere composta di foraggi prodotti nelle stesse zone.
Nella produzione del formaggio di fossa, per tradizione, si utilizza il latte crudo. Il latte deve provenire da due mungiture giornaliere e il formaggio deve essere prodotto con due tipi di latte intero che possono essere: o solo di mucca, o solo di pecora o misto, con l’ottanta per cento di latte di mucca e venti per cento di latte di pecora. Nella tradizione, era prevalente il latte di mucca o il misto, il pecorino puro, avveniva in via eccezionale. Tradizionalmente, si utilizza latte crudo, ma con il conferimento del marchio D.O.P. si deve utilizzare il latte pastorizzato a 71 gradi per 15 secondi. Le moderne norme d’igiene, non prevedono la lavorazione del latte crudo, anche se non esistono problemi di contaminazione microbica, nelle fosse, per secoli, è sempre stato utilizzato il latte crudo. Eventuale carica batterica è abbattuta dalla permanenza in fossa. La lavorazione del latte, deve avvenire entro 48 ore dalla mungitura ed essere coagulato con caglio naturale a temperatura compresa tra 30-38° C con tempi di posa da sette a venti minuti, o più, poi la cagliata è messa nelle forme per fare uscire il siero e pressata a mano. La forma ha un diametro compreso fra i dodici e venti centimetri e un’altezza di sei – dieci centimetri, con un peso tra 600 g e 2000 g. E’ vietato l’uso di additivi o conservanti. Prima di essere messo nella fossa, il formaggio deve maturare da un minimo di sessanta giorni ad un massimo di 240. La maturazione, può avvenire anche in celle alla temperatura compresa fra i 6 – 14 gradi. Tradizionalmente, prima di entrare nelle fosse, il formaggio si toglie dalle forme, si fa asciugare sopra ad assi; è salato, da una parte, poi dall’altra e sulle assi è girato periodicamente, fino ad asciugarsi. La buccia, se asciutta, priva di siero e tendente al grasso, si può mettere il formaggio nei sacchi di tela per la stagionatura nella fossa. In un anno, si possono fare due infossature: una primaverile che parte dal primo giorno di marzo fino al venti giugno d’ogni anno. L’infossatura estiva, può partire dal ventuno giugno fino al ventuno settembre d’ogni anno. Tra un’infossatura e l’altra, ci deve essere un periodo di riposo minimo di dieci giorni per pulire e fare asciugare la fossa. Alla fine dell’infossatura estiva, il periodo di riposo invernale deve essere minimo di tre mesi. L’infossatura tradizionale invece avveniva solo nella metà d’agosto e l’estrazione si faceva al 25 novembre, il giorno di Santa Caterina.
Il formaggio è messo a stagionare dentro sacchi di tela, all’interno di grotte molto umide, a forma di fiasco, (le fosse, appunto) scavate nella roccia, in modo che si producano muffe che lo rende particolarmente saporito. Le prime notizie sulle fosse e le tecniche d’infossatura si ritrovano negli archivi della famiglia Malatesta dal 1350. Le fosse, per secoli erano utilizzate per conservare cereali e generi alimentari di varia natura e per stagionare il formaggio. Per la conservazione degli alimenti, strutture simili alle fosse, si trovano anche in edifici storici un po’ in tutta Italia. L’usanza di infossare il formaggio, è stata tramandata nel corso dei secoli secondo le regole dei codici malatestiani del Medioevo e Rinascimento. Dal 1700 in poi, a Sogliano sul Rubicone, le fosse sono utilizzate esclusivamente per conservare i formaggi e sono presenti sulle colline romagnole di Cesena, Forlì, Rimini e nella provincia di Pesaro, Urbino, Sant’Agata Feltria, nella zona denominata Montefeltro, e a Roncofreddo e Mondaino, Cartoceto. In base alla tradizione tramandata nel corso dei secoli, la fossa deve avere queste caratteristiche: essere scavata a mano nella roccia d’arenaria del distretto storico d’appartenenza, andrà censita e dovrà superare un periodo di prova di almeno cinque infossature in altrettanti anni. La fossa dovrà avere una forma a fiasco con una profondità di tre metri e una larghezza massima di tre metri o di misura inferiore per quelle storiche esistenti; alcune sono anche più grandi. Le pareti, non devono avere infiltrazioni e sul fondo delle fosse c’è un incavo per lo scolo e la raccolta dei grassi. Per mantenere l’equilibrio ambientale, le fosse nuove si possono fare nei borghi e nei centri storici al servizio delle case coloniche. La fossa, dopo essere stata aperta, prima di infossare il formaggio, è sterilizzata, bruciando paglia al suo interno, è pulita, e sul fondo si mettono tavole di legno sollevate da terra, si ricoprono poi le pareti con uno strato di paglia con spessore dieci centimetri, proveniente dall’ultima trebbiatura e sostenuta da un’intelaiatura di canne equidistanti. Il fondo della fossa ha un foro che serve per scolare i grassi che trasudano dai formaggi. L’infossatura dura da un minimo di ottanta giorni ad un massimo di cento. Le fosse sono riempite dai sacchi di formaggi che riportano il peso e il nome del proprietario, adagiati uno dopo l’altro, in modo che non circoli aria. Dopo un periodo d’assestamento di dieci giorni, sono sigillate con gesso per evitare la traspirazione e non si deve aprire la fossa durante il periodo di stagionatura che dura da un minimo d’ottanta giorni ad un massimo di cento. Sopra al coperchio della fossa sigillata, si possono mettere i ciottoli del pavimento circostante. Al termine dell’infossamento, si aprono le fosse e prima di svuotarle, si deve attendere un minimo di trenta minuti ed un massimo di sei ore. Si svuotano, estraendo i sacchi di formaggio che sono stesi sui teli appoggiati sopra i ripiani e consegnati ai proprietari entro dodici ore dall’estrazione dalla fossa. Diverse aziende, proprietarie delle fosse, le affittano anche ad altri produttori delle zone comprese nell’area geografica di produzione che portano i formaggi a stagionare e lo vendono nelle loro aziende o nei giorni della Fiera che si svolge nelle ultime domeniche di novembre e la prima di dicembre e rappresenta un momento di mercato e d’incontro di produttori, proprietari di fosse, infossatori, artigiani, pastori, caseifici, gastronomi, commercianti, turisti…Per qualche anno, in passato, ho montato lo stand alla Fiera del formaggio di fossa che si tiene le ultime due domeniche di novembre e la prima di dicembre.
Dentro la fossa, cosa succede? Nella fossa avvengono processi di trasformazione batteriologica dei formaggi, alcuni conosciuti, altri ancora sconosciuti. L’ambiente è riscaldato dalla rifermentazione dei formaggi e questo processo, consuma l’ossigeno “in un microclima anaerobico a temperatura costante e un po’ più bassa rispetto l’esterno”.La citazione è tratta dal libro “C’era una volta il formaggio di fossa” Il microclima è dato dall’insieme di temperatura, umidità, ossigeno che agevola la rifermentazione e i processi enzimatici; osmosi e cessione di grassi e umidità residua, ma c’è anche lo scambio di odori e sapori tra i formaggi che subiscono anche una deformazione della loro struttura iniziale, per la pressione esercitata dagli stessi. La maturazione del formaggio, impedisce che diventano secchi, e restano burrosi e saporiti, acquisiscono fragranze, gusti, aromi, impossibile per un altro ambiente o in un capannone industriale. C’è lo spurgo dei residui della fermentazione, dei grassi e dell’umidità che colano dai sacchetti di tela dove sono contenuti i formaggi, verso il fondo delle fosse, depositandosi sui formaggi che si trovano più in basso. La degradazione dei grassi produce profumi e fragranze con un indice di maturazione superiore a quello di tanti altri formaggi classici e conferisce una maggiore digeribilità. In altre parole, il formaggio, rilascia i grassi che filtrano attraverso i sacchetti di tela e vanno verso il fondo della fossa. Avviene anche una perdita di peso variabile dal 10 al 20%. Nella fossa, c’è la trasformazione degli elementi del formaggio e delle sostanze grasse; i microrganismi nelle fosse, attaccano i grassi riducendoli e rendendo il formaggio più leggero e digeribile.
Il formaggio di fossa in cucina. Il formaggio di fossa, sulla nostra tavola trova posto nel vassoio dei formaggi assieme agli altri, oppure in cucina, può sostituire una parte del grana nelle preparazioni tradizionali. Il modo più semplice per gustarlo è quello con pane e vino Sangiovese o con la piadina. Si può mettere a scaglie nelle insalate miste o sui carpacci, o sul prosciutto, condito con olio e limone. Si può utilizzare nei ripieni di tortelli, tortelloni, paste ripiene varie, cannelloni, lasagne al forno, nei passatelli, negli gnocchi, negli strozzapreti, nelle paste gratinate o in quelle preparazioni dove si richiede l’uso del pecorino, nella polenta, nella pasta e fagioli, nei ripieni di polpette, polpettoni, sulla trippa, negli involtini, nelle torte salate, nei cassoni, sulle verdure gratinate…Nei ripieni, non è consigliato utilizzarlo da solo. Si può accompagnare con i mieli d’acacia, castagno, millefiori, con le marmellate, con la frutta secca, con l’uva, i fichi, con le pere al vino rosso, con la frutta sciroppata…
Ricetta dei passatelli con formaggio di fossa. Pane comune raffermo: 100 g; Parmigiano: 50 g; formaggio di fossa: 50 g; uova: 2; noce moscata: 1 pizzico; brodo: 2 litri. Grattugiare il pane e i formaggi, in una terrina, rompere le uova, unire la noce moscata e i formaggi, amalgamare tutto insieme. Fare riposare almeno mezz’ora e passarli attraverso lo schiacciapatate nel brodo bollente e quando affiorano, spegnere il fuoco.
Ricetta dello Chef Igles Corelli, con il formaggio di fossa. INSALATA D’ANATRA, CON FICHI, MELE, FORMAGGIO DI FOSSA E CROCCANTE DI MANDORLE AL PEPERONCINO.
INGREDIENTI: 1 petto d’anatra, 40 g di formaggio di fossa a scaglie, 8 fichi, 1 mela, 12 foglie di menta, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 2 cucchiai d’aceto di lamponi, 1 cucchiaino di senape antica con i grani, olio extravergine d’oliva, ½ limone, sale e pepe q.b.
Ricetta del croccante al peperoncino: 100 g di mandorle non spellate, 100 g di zucchero, 2 cucchiai di miele profumato, 4 peperoncini piccanti o meno a piacere. Preparazione del croccante. Tritare le mandorle senza spellarle. In un pentolino d’acciaio, sciogliere lo zucchero e quando si forma il caramello, gettare le mandorle, il miele e il peperoncino, cuocere brevemente mescolando. Levare il croccante dal fuoco e versare su un piano di marmo unto con poco d’olio. Lavorare il caramello impastandolo e spianandolo ripetutamente con l’aiuto di due spatole unte, per evitare che lo zucchero precipiti e le mandorle rimangano in superficie. Stendere il croccante e comprimerlo in modo da ottenere un velo sottile, sollevare la sfoglia di caramello dal piano di marmo con una lama unta e rivoltarlo. Tagliare il croccante in quattro losanghe e lasciare imbrunire completamente sul piano di marmo.
Preparazione dell’insalata d’anatra. Lavare i fichi, non troppo maturi e tagliarli a spicchi. Sbucciare la mela, tagliarla a cubetti, spruzzarla con succo di limone per non farla annerire. In una padella di ferro, scaldare un filo d’olio con l’aglio in camicia (con la buccia) e il rosmarino, posarvi il pezzo d’anatra intero sul lato della pelle e cuocere rapidamente a fiamma vivace fino a quando la pelle non sarà croccante ma non bruciata e, avrà perso buona parte del grasso sottocutaneo. Scolare il grasso dalla padella e voltare il petto d’anatra. Salare e pepare e cuocere per 8 – 10 minuti (l’interno dovrà rimanere al sangue). Lasciare riposare in caldo.
Preparare la vinaigrette. Tritare finemente le foglie di menta. Sciogliere il sale nell’aceto e aggiungere la senape, il pepe, la menta e l’olio a filo, sbattendo con una frusta.
Comporre l’insalata d’anatra. Scaloppare il petto d’anatra in fette sottili. Disporre la frutta preparata al centro delle fondine e condire con la vinaigrette. Sovrapporvi alcune fettine d’anatra, condire con alcune gocce di vinaigrette e decorare con un triangolo di croccante e le scaglie di formaggio di fossa.
La ricetta di Igles Corelli è tratta dal libro “C’era una volta il formaggio di fossa.”, un vero e proprio trattato che svela tutti gli aspetti di quest’antica preparazione del formaggio. Nel libro, si trova l’abbinamento del formaggio di fossa con tutti i vini d’Italia e un ampio ricettario con le preparazioni della ristorazione locale e nazionale.
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