La vita del giovane Duce in Romagna
Benito Mussolini, è stato l’uomo politico più discusso d’Italia e della Romagna, il più odiato, ma anche il più amato del mondo; facendo un paragone con i politici italiani d’oggi, lui si può definire “un criminale che amava l’Italia e gli italiani”, ma è anche uno statista. Il Duce, non rubava, era un costruttore, e faceva quello che prometteva, il pensiero, seguiva l’azione. Nel Duce, i nemici, vedono solamente la parte criminale e dimenticano i lavori utili e reali da lui eseguiti nell’organizzazione e costruzione dello stato.
I politici italiani di oggi, si possono definire “criminali che odiano l’Italia e, gli italiani”, sono malvagi e bugiardi, in quanto si servono dello stato per i propri interessi personali e quelli degli amici, danneggiando la popolazione e lo stato. Approfittano per l’ingenuità e la buona fede delle persone e commettono ugualmente tanti crimini contro l’umanità e oggi sono diventati dei parassiti incapaci di azioni utili alla collettività. Il giovane Mussolini era povero, si trasferì a Milano ed ebbe l’occasione di fondare un giornale ed un partito politico, ma il fascismo non nacque in Romagna.
Chi vuole approfondire la conoscenza dell’età giovanile di Benito Mussolini, è stata organizzata una mostra a Predappio, nella casa dove egli è nato. Sono esposti documenti e lettere, inediti, del periodo dal 1883, anno di nascita, fino al 1914. La mostra è aperta dal venerdì e nei giorni festivi fino al 31 maggio 2014, dalle ore dieci della mattina.
La madre di Benito Mussolini, era un’impiegata statale, cattolica, insegnante elementare, a Dovia di Predappio, il paese dove è nato il 29 luglio 1883, mentre il padre, ateo, svolgeva il lavoro autonomo di fabbro e nello stesso tempo si occupava di politica, era giornalista autodidatta, e diffondeva il socialismo anarchico e anticlericale, influenzando anche il figlio Benito. A ventidue anni, Benito, ha perso la madre e a ventisette, il padre.
Il piccolo Benito, inizia a frequentare la scuola elementare della madre, ma è un bambino molto vivace e distratto e i genitori, decidono di metterlo in collegio a Faenza, nell’Istituto salesiano, dove può proseguire la sua formazione, ma qui rimane solo per due anni dal 1892 al 1894. È prepotente e scontroso con i compagni più grandi e subisce anche punizioni fisiche molto severe, è insofferente alle regole del collegio, contrario all’ordine e alla disciplina, porta con se il coltello a serramanico ed è mandato via dall’istituto. Dopo questa esperienza, frequenta la regia scuola maschile di Forlimpopoli, per la preparazione degli insegnanti elementari, dove era preside Valfredo Carducci, fratello di Giosuè. Con l’attuale riforma Gelmini, la scuola diventa Liceo delle Scienze Umane.
Alla scuola Carducci, nel mese di settembre 1898, Benito consegue la licenza inferiore. In questa scuola, ha ancora dei problemi per il comportamento, ma qui, nel 1901, riesce ad avere il diploma di maestro elementare. Nel 1900, si è iscritto al gruppo socialista locale e comincia a fare dei comizi nei paesi di Romagna.
Nei primi anni del Novecento, fra i socialisti, s’iscrivono i proletari che vogliono migliorare le proprie condizioni sociali; alla fine del secolo, invece, a causa di tante pretese, loro diventano ladri senza ideali.
In Italia, chiudono il partito politico e il giornale storico e si nascondono in gruppi con altre denominazioni. La politica dei socialisti e dei comunisti nella nostra epoca, ha impoverito gli italiani. Oggi in Italia, sono ricchi solo quelli che hanno il lavoro statale. Loro hanno distrutto l’impresa e l’iniziativa della gente con le tasse e il furto legalizzato, in modo di proibire alle persone comuni di lavorare autonomamente, criminalizzando la libera impresa.
Dopo il diploma di maestro, Benito, a volte sostituisce la madre nella scuola, e partecipa ai concorsi, ma fare il maestro elementare non gli piace molto. Senza fare domanda, è stato chiamato per due mesi di supplenza a Pieve Saliceto, nel Comune di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia. Gualtieri, in Italia, fu uno dei primi comuni socialisti. Comincia ad avere diverse relazioni con le donne che incontra, imitando il comportamento del babbo, e a frequentare discoteche, e a fare comizi. Per l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi ne esalta le gesta e lo rappresenta come un ribelle alle leggi, che costringono i popoli a vivere in povertà morale e materiale. Si stanca presto dell’ambiente padano.
A causa delle stravaganze e delle idee troppo all’avanguardia, anche i superiori e i socialisti di Gualtieri, si stancano di lui e non confermano di nuovo l’incarico. Benito decide di andare a cercare fortuna in paesi stranieri, e di lasciare la terra di Dante Alighieri, per quella di Guglielmo Tell.
A Pieve Saliceto, percepiva uno stipendio di cinquantasei lire, ma spendeva quaranta di vitto e alloggio.
Per il viaggio in Svizzera, la madre gli spedì quaranta cinque lire per posta. Nel frattempo, il padre era stato arrestato per avere rotto le urne di un seggio a Predappio.
Il 9 luglio 1902, Benito parte per la Svizzera, evitando il servizio militare, girovagando fra Berna Losanna, Bellinzona, Ginevra, dove svolge diversi lavori occasionali: una settimana il muratore, più a lungo, il garzone di una macelleria ed è fermato anche per vagabondaggio.
Si considerava un intellettuale e all’Università di Losanna, andava ad ascoltare le lezioni di economia politica del Professor Pareto e s’iscriveva al sindacato dei muratori di Losanna dove fu nominato segretario e cominciava a scrivere sulle pagine dell’«Avvenire del lavoratore», pubblicando il suo primo articolo, iniziava l’attività giornalistica e inviava articoli anche ad altri giornali. Incomincia a leggere Nietzsche, Schopenhauer, i quali, con Dante Alighieri e Machiavelli, saranno i suoi autori preferiti.
In questo periodo, studia il francese e il tedesco, poi ritorna qualche settimana a Predappio per assistere la madre ammalata, e riparte di nuovo per evitare l’imminente chiamata della leva militare. A quell’epoca, si considerava antimilitarista. Ritornò in Svizzera, prima che scadesse il permesso di soggiorno, falsificando la data dal 1903 al 1905. Scoperto dall’autorità Svizzera, fu espulso dal Cantone di Ginevra. A seguito di una regia amnistia, potrà far ritorno in Italia, senza essere arrestato. A Dovia, sostituiva la madre ammalata nella scuola dove insegnava, poi fu costretto a partire per il servizio militare, al quale non riuscì ugualmente a sottrarsi, nel decimo reggimento bersaglieri di Verona, dove poco dopo apprese della morte della madre. Ebbe due mesi di licenza, poi ritornò a Verona, dove, contrariamente a quanto si aspettavano, fu segnalato per gran capacità, disciplina e cultura.
Dopo il congedo, restò due mesi a Dovia, nel suo paese natale, poi nel 1907, ripartì di nuovo per una supplenza che aveva ottenuto a Tolmezzo, in Carnia, in una seconda con quaranta alunni, che considerava indisciplinati, ma si convinceva sempre di più che l’insegnamento non era il suo mestiere e nello stesso tempo, Tolmezzo non gli piaceva, perché “pioveva sempre”. Non fu rinnovata la supplenza; anche a Tolmezzo si era rivelato attaccabrighe e maleducato con gli alunni. L’aria di Tolmezzo, si era fatta irrespirabile come quella di Pieve Saliceto.
Tentò allora di sostenere l’esame per l’insegnamento della lingua francese nelle scuole secondarie e di abbandonare l’insegnamento elementare. A Bologna, si presentò all’esame da professore di lingue straniere; e in seguito, tramite l’ufficio di collocamento, fu chiamato in una scuola tecnica e cattolica di Oneglia. Nello stesso tempo, gli amministratori locali della zona che erano socialisti gli avevano affidato la direzione del settimanale «La Lima».
Dopo quell’esperienza, Benito, pensava di dedicarsi al giornalismo e chiedeva anche la direzione della «Provincia di Mantova», senza ottenerla. Sulla «Lima», scriveva articoli, dove manifestava il suo scetticismo nei confronti della religione, firmando gli articoli con lo pseudonimo di «Vero eretico».
Considerava i preti “gendarmi neri al servizio del capitalismo” contro il proletariato.
Ben presto, egli lasciò anche la città ligure e ritornò in Romagna. Nel mese di luglio 1908, s’impegnò nelle lotte fra mezzadri e braccianti che si svolgevano nelle campagne romagnole, schierandosi assieme ai braccianti e in queste circostanze, ne uscì fuori con una denuncia, per aver minacciato un avversario; fu condannato a tre mesi di reclusione, ridotti a quindici giorni. Tornato in libertà, improvvisò un comizio non autorizzato, sulla necessità della rivolta, e gli provocò altri dieci giorni di reclusione.
Insofferente alle norme comuni, lui, avrebbe voluto cambiare le leggi e diceva: “Alle fiamme il Codice!” Poco dopo, iniziò a scrivere un saggio: La filosofia della forza, che fu pubblicata sul giornale dei repubblicani forlivesi «Pensiero Romagnolo», in tre puntate tra novembre e dicembre 1908; nello scritto, polemizzava con Claudio Treves, che aveva sentito in una conferenza, parlare di Nietzsche e sosteneva che nulla aveva capito del pensatore tedesco, che era uno dei suoi filosofi preferiti. Benito fu influenzato dall’espressione di Nietzsche: “Vivere pericolosamente” e ne fece una propria filosofia di vita.
Dopo la morte della moglie, il padre di Benito, lascia Dovia, per aprire un’osteria a Forlì con Annina Guidi, che era anche madre di Rachele, la ragazza che Benito sposerà in futuro e che aveva già conosciuto nella scuola della madre a Predappio. Benito, segue papà, ma va a vivere in una camera da solo, in Via Giove Tonante.
Benito, ancora senza lavoro, è convocato da Cesare Battisti direttore de «Il Popolo», a Trento, che allora apparteneva all’Austria e riparte ancora da Forlì, promettendo a Rachele che al suo ritorno l’avrebbe sposata. Nel frattempo, Rachele andò a lavorare nell’osteria con sua madre.
Il 06 febbraio 1909, si trasferisce a Trento per sette mesi come giornalista e provocatore, vivendo alla giornata, non trovando una posizione precisa fra l’irridentismo italiano, ma identificandosi invece con l’anticlericalismo.
Gli fu affidata la direzione del settimanale, l’«Avvenire del lavoratore» e la segreteria della Camera del lavoro. Battisti, visti i buoni risultati ottenuti nel giornale che gli aveva affidato, lo volle come capo redattore al «Popolo», presentandolo ai lettori come “scrittore agile, incisivo, polemista vigoroso con una cultura multiforme e moderna”; Mussolini, accettò quest’incarico solo per un mese, perché si sentiva diverso dai socialisti trentini di lingua italiana, in quel periodo, si scagliava contro gli agrari, i clericali trentini, sostenuti da Alcide De Gasperi che dirigeva il più noto giornale locale «Il Trentino» e i governanti austriaci che li sostenevano. Chiamava De Gasperi «pennivendolo», uomo «senza coraggio», «intellettualmente stitico».
Faceva conferenze, scriveva articoli, racconti, traduzioni e passava tante ore in biblioteca e pensò di ritornare a fare il professore, sempre incerto sul suo futuro, pensò anche di mettersi a suonare il violino. Sull’«Avvenire del lavoratore», pubblicò un annuncio dove si proponeva come insegnate privato. A causa dei suoi articoli e i comizi contro l’impero austriaco e i cattolici, il 10 settembre 1909, fu imprigionato nel carcere di Rovereto e multato, causando problemi anche all’«Avvenire». I cattolici trentini chiedevano alle autorità viennesi di farlo allontanare e lui li attaccava scrivendo che “preferivano una buona bistecca al corpo di Gesù”. Dopo l’ennesimo processo, fu assolto, ma fu accompagnato al confine, e diffidato da tornare indietro. Per il viaggio di ritorno in Romagna da Verona a Forlì, si fece spedire i soldi dal padre con un vaglia telegrafico. Il 26 settembre 1909, è di nuovo a Forlì.
Benito, non amava Forlì, la considerava “città di mercanti, di maiali e d’erba medica”.
Al suo ritorno in Romagna, andò ad aiutare il padre a servire i clienti nell’osteria, vicino a Rachele e nello stesso tempo, scrisse dei libri che aveva già pensato di scrivere in Trentino, un romanzo storico dal titolo efficace: Claudia Particella, l’amante del Cardinale, mentre il saggio storico era dedicato alla sua esperienza vissuta in Trentino, allora territorio austriaco dove si parlava italiano.
Chiamò il saggio, Trentino, ma poi il titolo, troppo breve, fu cambiato da Giuseppe Prezzolini in: Il Trentino veduto da un socialista, quando decise di pubblicarlo fra le edizioni della Voce.
Il romanzo anticlericale, fu pubblicato a puntate sul «Popolo» di Cesare Battisti dal 20 gennaio al 11 maggio 1910. Narra gli amori scandalosi fra il Vescovo di Trento, vissuto nel Seicento e una bella ragazza di nome Claudia. Cesare Battisti, era entusiasta della pubblicazione e gli inviava quindici lire ogni puntata.
A Forlì, si mette ancora nei guai. Finisce in carcere per dieci giorni, per non aver pagato la multa inflitta per un comizio indetto senza autorizzazione.
In seguito, chiese di fare il giornalista, per alcuni quotidiani, ma le sue richieste, non furono esaudite e accettò un modesto impiego al Comune di Argenta, ma pensò anche di andare in America, dove gli proposero di dirigere un quotidiano socialista. Non gli piaceva stare in Romagna.
Fra tanta incertezza, metteva un punto fermo nella vita privata. Verso la fine del 1909, voleva andare a vivere con Rachele ma suo padre e la madre della ragazza, sono contrari, perché Benito è senza soldi e senza lavoro, allora, li convince con una pistola, affermando che se non acconsentono, si uccidono entrambi e in questo modo Benito ottiene il consenso e vanno qualche giorno a villa Carpena, poi il 17 gennaio 1910, iniziano la convivenza in un bilocale con camera e cucina, pagando quindici lire d’affitto.
Nel frattempo, Benito, con i compagni forlivesi, aveva fondato un piccolo settimanale socialista, la «Lotta di Classe», dove era direttore con uno stipendio di centoventi lire, cento erano i suoi e venti li offriva al partito politico socialista. Il primo settembre 1910, nacque la loro bambina Edda, lui aveva ventisette anni e la moglie, venti.
Più tardi, gli affidano l’incarico di giornalista da Forlì dell’«Avanti!», il giornale quotidiano nazionale dei socialisti, le condizioni economiche della famiglia, migliorano e traslocano in un appartamento più grande in Piazza XX Settembre. Il 19 novembre 1910, morì il padre di Benito e fu cessato anche il lavoro dell’osteria.
Ad un congresso dei socialisti di Reggio Emilia, fu molto stimato e già considerato un organizzatore nazionale. Si era opposto alla guerra libica, e aveva attuato azioni di sabotaggio dei treni. Dopo un altro procedimento penale dovette scontare cinque mesi di carcere, lasciando la moglie senza le risorse per vivere, e lei fu aiutata dai compagni socialisti. Dopo diversi successi in vari congressi e manifestazioni, la vita di Benito, stava per cambiare radicalmente; a ventinove anni, nel 1912 è chiamato a Milano a dirigere l’«Avanti!». A dieci anni dal trasferimento a Milano, nel 1922, organizzava la Marcia su Roma, e s’inseriva nella storia.
Per altri particolari sulla vita del giovane Benito, leggere il libro: Mussolini, il fascino di un dittatore.
Un altro libro per conoscere di più sulla vita di Benito in Romagna è: Il giovane Mussolini, scritto da Rino Alessi di Cervia, un amico che ha incontrato alla scuola Carducci di Forlimpopoli.
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