Tommaso Della Volpe, il conte pittore e fotografo.
Tommaso Della Volpe, nato ad Imola nel 1883, da una nobile famiglia fin da bambino, aveva iniziato a dipingere, restando lontano sia dai movimenti di avanguardia, sia dalla cultura ufficiale ed era molto attivo nella prima metà del Novecento. Dopo gli studi classici presso il Ginnasio del Collegio San Carlo di Modena, dove si era diplomato nel 1899, in seguito, era stato indirizzato dalla famiglia agli studi ecclesiastici che lui rifiutava.
A Roma, aveva uno zio cardinale, e fra i suoi discendenti c’erano anche uomini di stato, ma lui decideva di non intraprendere la carriera ecclesiastica e frequentava i corsi di pittura all’Accademia di Bologna dove nel 1907, conseguì il Diploma per l’insegnamento. La carriera artistica, a quella epoca, non era considerata adatta ad un nobile. Dopo gli studi artistici, comincia a partecipare a diverse mostre e competizioni a livello locale e nazionale e sarà presente per due volte anche alla Biennale di Venezia.
Nel 1908, si trasferisce per due anni in Vaticano, dove studia arte sacra sotto la guida dello zio cardinale Francesco Della Volpe e nel 1914, a Roma, frequenta lo studio del pittore Aristide Sartorio che lo aiuterà nella decorazione della gran sala del Parlamento italiano a Palazzo Montecitorio. Lo zio, certamente, costituì anche un’ottima referenza per la decorazione di alcune chiese italiane, a Linaro di Bologna nel 1928, la Chiesa del Santissimo Crocefisso a Taranto nel 1937-38, dove dipinse 1700 mq di dipinti, rapidamente e senza modelli, dimostrando una gran creatività e la conoscenza delle opere del passato ed egli dipingerà altri quadri con soggetto religioso in basiliche pugliesi; Tommaso Della Volpe, fu molto elogiato sui quotidiani locali per la perfezione del disegno e per la straordinaria tecnica del colore.
Nel 1940, dipinge L’ultima cena per il refettorio dell’Osservanza ad Imola e nel 1941 un Fondale per la chiesa di Fontanelice e la Chiesa di San Petronio a Castel Bolognese. Nel 1942, affresca la chiesa di San Vito a Ferrara. Nel 1914, alla Biennale di Venezia, fu premiato con una medaglia d’oro per il dipinto “Il barroccio”. Dal 1903, egli si era dedicato anche all’attività di fotografo, acquistando in Francia l’attrezzatura fotografica per 220 franchi, da portare con se nei suoi numerosi viaggi. Le sue fotografie testimoniano immagini di vita romagnola, italiana e in altri paesi nel primo Novecento.
La pittura su tavola di Della Volpe, è costituita per la maggior parte da paesaggi con scene campestri e immagini di città italiane, Venezia, Senigallia, Taranto e della Romagna: portocanale di Cesenatico, Imola, la pineta di Ravenna e Cervia, la casa di Mussolini a Predappio e da ritratti a diverse personalità, come Vittorio Emanuele III, Andrea Costa, il poeta Luigi Orsini e alcuni dirigenti…Appassionato di tutto lo scibile umano, il suo interesse, spazia dalla musica, alla poesia e alla letteratura, alle moto e alle auto, giramondo, innamorato della natura, individualista non aderisce al Futurismo e ad altre scuole artistiche. Ad Imola, Della Volpe, aveva due studi frequentati da diversi allievi fra i quali il pittore Tonino Dal Re, che diventava l’artista romagnolo più significativo del secondo Novecento italiano.
Un articolo del 8 giugno 1963, dal titolo “Tommaso della Volpe, un artista poliedrico della nostra Romagna” «Per 60 anni, ha rappresentato non questa o quella corrente, ma se stesso, la sua terra, la sua gente, la sua concezione della pittura e della vita, con la grande ambizione di soddisfare la propria coscienza, era in aspra polemica con i novecentisti che lo definirono passatista e anacronista. Luigi Orsini, nel 1940 fece di lui un ritratto interessante, di cui nell’articolo è riportata una parte: si racchiuse in una operosità viva e schiva per crearsi una sua personalità abbandonandosi tutto alla propria ispirazione, innamorato della natura e dell’arte, non seguì mai mode, né si insuperbì per i successi ottenuti, amico del silenzio, considerò sempre l’arte come una conquista severa, angosciosa, la cui musa non può essere che la sincerità».
Scriveva invece di lui Romeo Galli, appassionato anche di arte e letteratura, nel giornale socialista “La lotta”, il 28 dicembre 1919:
«Modesto, attivissimo, alieno da ogni compagnia che non sia quella dei suoi sogni e dei suoi pennelli, schivo, possiede una nobiltà più sacra di qualsiasi blasone, quella del lavoro e dell’intelligenza, che costituiscono un titolo di primogenitura inalienabile in confronto a qualsiasi rivoluzione politica e sociale. Egli ha la febbre sacra del lavoro e trae dall’intimo travaglio della sua anima la capacità di esprimere, attraverso la virtuosità dei pennelli e la fastosità dei colori, quegli attimi di pura gioia e quelle profonde indicibili sensazioni del vivere. Davanti alle tele di T. Della Volpe, voi non vedete soltanto l’aspetto esteriore, la configurazione geometrica, il gioco delle luci e delle ombre sulle cose, ne sentite l’anima, ne cogliete il palpito profondo, indovinate il fremito del pianto o il trillo argenteo e fresco della risata gioconda e vi fermate, sorpresi, così come fareste, davanti allo spettacolo naturale, in una pausa del vostro fatale andare quotidiano. Ora, questa di risvegliare in noi la sensazione più perfetta e più vera della natura è prova indubbia di una squisita tempra di artista. T. Della Volpe riuscì a rompere quella cerchia di fredda ostilità che sempre si oppose ai giovani artisti, riuscì a fare accettare le sue tele alla Biennale di Venezia che fu la consacrazione ufficiale dell’arte. La natura è la sua passione, la sua chimera. La sua scuola è nei campi, sugli argini dei fiumi, sulle fronde dei fossati… Egli vive perciò la maggior parte dell’anno in campagna, come un esploratore in vedetta: e punta l’obiettivo del suo occhio indagatore sui più umili aspetti delle cose, per trarne ispirazioni incoercibili di vita; che traduce in segni e in pennellate magistrali, sotto la sferza di una fortunata e pronta sensibilità. Ha l’intuito dei grandi maestri…»
L’immagine in alto rappresenta un disegno del 1923 dal titolo “Donne di Romagna“; sotto, una litografia a colori P.A. del “Barroccio” in vendita. Di seguito, quella che fu la sua casa, oggi ristrutturata.
Tonino Dal Re, un genio romagnolo