MELOZZO DA FORLI’ e il Rinascimento
Il Rinascimento è un fenomeno artistico italiano, unico e straordinario che ha inizio a Firenze all’epoca della signoria dei Medici, signori borghesi, esponenti dell’alta finanza.
Si diffuse in altri centri della Toscana, poi ad Urbino, Roma, Perugia, Mantova, Ferrara, Venezia…
I sovrani delle varie signorie furono mecenati dell’arte. A Roma i papi, nella seconda metà del Quattrocento diventarono i grandi mecenati della rinascita artistica, aprendosi anch’essi alla cultura umanistica. Lo stato della Chiesa, è un mecenate come il principato. L’arte e la cultura del fare in questo periodo, aveva interessato anche la Chiesa.
Ad Urbino, artisti, letterati, filosofi di diversa provenienza, erano presenti alla corte del Duca Federico da Montefeltro, il valoroso e fortunato principe guerriero che progettò il suo palazzo come un’architettura militare, visitato ancor oggi dai turisti di tutto il mondo. In quest’ambiente culturale, si è formato anche Melozzo degli Ambrogi. In Europa, un movimento corrispondente al Rinascimento è quello Fiammingo. Il Duca d’Urbino, ha voluto alla sua corte anche gli artisti fiamminghi esperti di pittura ad olio.
“La signoria medicea, con la sua oppressione fiscale ha sensibilmente ridotto il volume degli affari, costringendo molti imprenditori a lasciare Firenze trasportando altrove le proprie aziende. Sintomi del declino industriale, quali l’emigrazione dei lavoratori e il regresso della produzione, si fanno già sentire ai tempi di Cosimo. Sempre più la ricchezza si accentra in poche mani. Il pubblico dei committenti d’arte, che nella prima metà del secolo tendeva sempre più ad estendersi fra i privati cittadini, mostra ora una tendenza a restringersi. Le ordinazioni provengono principalmente dai Medici e da poche altre famiglie; la produzione, già per questo fenomeno, assume un carattere più esclusivo e raffinato.”. (Arnold Hauser)
Il brano riportato, è tratto dal libro “La storia sociale dell’arte” pubblicato dallo studioso inglese Hauser nel 1955. I paesi anglosassoni, che ho visitato, per vedere le opere d’arte italiana nei principali musei d’Europa, sono circa di cinquanta anni più avanti rispetto all’Italia d’oggi. Nel Rinascimento, i principati italiani sono stati il centro della rinascita della cultura europea, delle industrie, dei commerci, della finanza, in anticipo rispetto al resto d’Europa. Alla fine del Quattrocento, la futura Italia, era lo Stato più ricco d’Europa.
Il fenomeno dell’emigrazione delle imprese, e dei lavoratori è d’attualità anche nell’Italia d’oggi.
Allora l’oppressione fiscale serviva per finanziare opere straordinarie che sono finite in tutti i musei del mondo. Nell’Italia d’oggi, l’oppressione fiscale, serve per mantenere i privilegi acquisiti da una parte della popolazione. Oggi, i costi dello stato italiano, sono i più alti dell’Europa. I dipendenti dello stato ed Enti pubblici, sperperano il denaro della società produttiva. Oggi, questo fenomeno, fa scappare dall’Italia le imprese e la gente migliore che contribuiscono al progresso d’altri stati.
Fin dall’inizio del Quattrocento, c’è stata l’affermazione della cultura umanista e naturalista che ha come modello l’antichità e il ritorno alla natura. Si riscopriva l’arte greca e romana, la letteratura, la lingua, sepolte dalla caduta dell’Impero di Roma e oscurata dal medioevo e dalle invasioni barbariche. E’ una società basata sull’individuo: il principe, dominatore del proprio stato; l’artista, che nella sua opera esprime la propria personalità, c’è fiducia nell’uomo e nelle sue possibilità, nella rinascita della civiltà. Il secolo, si apre con il concorso del 1401 per le porte del Battistero a Firenze. L’architetto Brunelleschi, all’inizio del Quattrocento, introdusse lo studio della prospettiva che caratterizzò tutto il secolo e coinvolse ogni artista. A Firenze, Brunelleschi, lo scultore Donatello e il pittore Masaccio, hanno rivoluzionato la concezione dell’attività artistica.
Leon Battista Alberti, (1404-1472) fu il massimo esponente della cultura umanista: letterato, filosofo architetto, archeologo, teorico delle arti, esponente della seconda generazione d’artisti. Figlio di un ricco mercante fiorentino, nasce a Genova, frequenta l’università a Padova e Bologna, poi torna a Firenze dove sono attivi Brunelleschi, Donatello e Masaccio. A Roma, studia l’antichità classica, scrive trattati sulle arti e introduce la cultura fiorentina in altre corti. L’arte, da attività meccanica e intellettuale, diventa uno strumento di conoscenza e indagine della realtà. Secondo l’Alberti, l’artista deve essere qualcosa di più completo del semplice pittore, dello scultore, dell’architetto. Deve essere anche filosofo, letterato, scienziato, urbanista e teorico dell’arte. Deve essere universale come saranno poi Piero della Francesca, Leonardo, Botticelli, Michelangelo…L’Alberti, riprende dalla classicità anche i canoni della bellezza fisica che caratterizza tutto il periodo rinascimentale. Esaltazione del bello nell’immagine e nella forma.
Gli artisti, generalmente erano d’origini modeste. Nei conventi imparavano a leggere e a scrivere, poi andavano a bottega da un maestro e dopo l’apprendistato gli era rilasciata una licenza che gli permetteva di lavorare per conto proprio. L’apprendista, nella bottega svolgeva un lavoro artigiano, lavorava nelle parti meno importanti delle opere create: gli sfondi e i panneggi. Non era ancora il genio o il talento innato che si sarebbe affermato nel secolo successivo, che dava all’artista il diritto di esercitare la professione, ma l’apprendistato che doveva essere conforme alle norme di una corporazione. Questa norma fu soppressa a Firenze solo nel 1571.
La nuova società crede nella capacità umana del fare. E’ costituita da mercanti, artigiani, finanzieri e dal Principe. In questo periodo, nasce il capitalismo. La città diventa il centro dello Stato, dove c’è sempre la piazza col palazzo del Principe che secondo l’Alberti deve avere forme armoniche ed equilibrate. La città, diventa lo Stato, si teorizza la città ideale. I principi italiani si fanno promotori della cultura e dell’arte e diventano i maggiori committenti e mecenati di tutte le arti: l’architettura, la scultura e la pittura. L’arte, non era solo ornamento per la vita di corte, ma uno strumento d’autorità e prestigio dell’azione politica. Si circondano di letterati e artisti che spesso diventano anche consiglieri e ministri. L’artista va di corte in corte, di città in città, fra i vari principati, migliorando anche la sua posizione sociale. I potenti volevano al proprio servizio i migliori architetti, pittori, scultori. I principi mecenati, proteggevano gli artisti. I Medici, a Firenze, favoriscono l’opera di Sandro Botticelli, Filippo Lippi e Paolo Uccello. A Ferrara, gli Estensi promuovono l’opera di Cosmè Tura e Francesco del Cossa. A Mantova, i Gonzaga, volevano imitare Firenze con l’Alberti e Mantegna. A Rimini, Matteo de’ Pasti e l’Alberti, costruirono il Tempio dei Malatesta. Ad Urbino, Piero della Francesca, era il favorito del Duca Federico da Montefeltro…
Tutto il periodo, è caratterizzato dallo studio della prospettiva e dell’anatomia. La prospettiva è stata teorizzata dall’Alberti nel “Trattato della pittura” del 1436. Con Leonardo, dall’arte, rinasce anche la scienza che era in ritardo, rispetto alle altre discipline. Tutta l’arte è influenzata dalle idee umanistiche che mettono l’uomo al centro dell’universo. La prospettiva è studiata da tutti gli artisti del Quattrocento. E’ riscoperta dai testi e dalle opere degli antichi geci e romani e diventa un nuovo modo di rappresentare la realtà che vuole fare rinascere l’antica sapienza. In questo periodo la prospettiva è intesa come indagine scientifica del reale e riguarda l’architettura, la scultura e la pittura. Con la prospettiva, si crea lo spazio, la profondità, l’illusione.
L’artista del Rinascimento ha un buon onorario e nell’ultimo quarto del Quattrocento a Firenze, si cominciano a pagare prezzi alti per gli affreschi per evitare l’emigrazione di tutti gli artisti verso Roma. Temevano la concorrenza della chiesa che nella seconda metà del Quattrocento diveniva il maggior committente d’opere d’arte.
Il Duca Federico da Montefeltro, abile e vincente guerriero, con le ricchezze accumulate al servizio di vari principi, costruì il Palazzo Ducale e i lavori iniziarono nel 1455. Chiamò gli architetti Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini e gli artisti Piero della Francesca, Melozzo da Forlì, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Giovanni Santi, padre di Raffaello e coetaneo di Melozzo, l’Alberti, Paolo Uccello… Fu protettore d’artisti, letterati e filosofi. All’interno del Palazzo, fece costruire lo “Studiolo del Duca” (1476). Nello Studiolo del Duca, furono dipinti ad olio su tavola, ventotto ritratti d’uomini illustri, dai pittori Pedro Berruguete e Giusto di Gand, in alto, sopra le Tarsie di Baccio Pontelli, esperto ebanista e d’architettura militare. Ad Urbino, Melozzo è a contatto con l’universalismo di Piero e il particolarismo dell’arte fiamminga. Nella reggia del Duca, non c’è nessun’opera di Melozzo. Alcuni autori gli hanno attribuito qualche ritratto degli uomini illustri. Altri lo consideravano allievo di Piero della Francesca.
Melozzo da Forlì (1438-1494)
Melozzo degli Ambrogi, è nato nel 1438 a Forlì. Aveva un fratello orafo e uno zio architetto. Non c’è traccia della sua vita nelle “Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti” di Giorgio Vasari.
Non si hanno notizie della formazione di Melozzo, dell’apprendistato o di un maestro nella scuola forlivese. Alcuni studiosi vedono un collegamento di Melozzo con la scuola d’Andrea Mantegna. Ad Urbino era a contatto con Piero della Francesca e i fiamminghi che decorarono lo Studiolo del Duca. Tutti gli artisti del rinascimento, avevano una gran preparazione di base nella bottega di un maestro. Per poter svolgere autonomamente il mestiere di pittore, la condizione era ottenere il rilascio d’attestato di frequenza nella scuola del maestro. L’innovazione umanistica del rinascimento, fu diffusa in Romagna e nelle Marche da Piero della Francesca, che fu discepolo di Domenico Veneziano.
Non è facile stabilire un’esatta cronologia delle opere che restano di Melozzo, perché spesso le date non coincidono fra i diversi autori che si sono occupati dello studio della sua arte.
Melozzo fu attivo ad Urbino fra il 1465 e il 1476, negli anni in cui Piero della Francesca lavorava per il Duca d’Urbino. Nello stesso periodo, è possibile che si sia spostato anche a Roma o nelle chiese dello Stato Pontificio. La tecnica prediletta da Melozzo era quella dell’affresco che presentava maggiori difficoltà di conservazione; del periodo urbinate, non restano opere di Melozzo. Alla Galleria Nazionale delle Marche, attribuito a Melozzo c’è un volto di Cristo dallo sguardo intenso, il Salvator Mundi. Alcuni studiosi pensano che sia opera di Bramantino.
Le opere di Melozzo, che testimoniano la sua grandezza, sono due cicli d’affreschi romani staccati e riportati su tavola, dalla biblioteca Palatina e dalla Chiesa dei Santi Apostoli. Con queste opere, si colloca nell’ambiente del Rinascimento, ma è oscura la sua preparazione. Com’è arrivato a fare questo? Alla base della preparazione di Melozzo, c’è la conoscenza della prospettiva, tipica del secolo, ma si spinge oltre, creando anche l’effetto illusionistico e la figura più grande dell’ambiente che la circonda. Nella perfezione prospettica, la figura è più importante della prospettiva. Ad Urbino fra il 1465 e il 1476, cosa faceva? E’ possibile che sia sul posto ad affrescare chiese e nello stesso tempo, collabora con Piero della Francesca. In questo periodo, gli artisti lavorano molto e possono avere cantieri aperti nello stesso tempo in diversi luoghi o città e alcuni artisti, lavorano in Società e collaboravano con altri.
Intatti, sono rimasti gli affreschi nella volta della Sacrestia di San Marco nella Santa Casa di Loreto che ha eseguito con l’allievo Marco Palmezzano nel 1477 e altri aiuti. Non è stata terminata l’opera com’era prevista nel programma iniziale che dovevano essere decorate anche le quattro pareti, ma n’è stata dipinta una soltanto con “L’entrata a Gerusalemme” di Cristo. Per altri autori, questi affreschi, sono stati eseguiti fra il 1478-1480. Per altri ancora, fra il 1482-84.
Nella Sagrestia di San Marco, a Loreto, la pittura è inserita nella volta.
Nell’affresco della biblioteca, l’architettura è disegnata dentro la pittura.
Lo sfondo della volta a forma ottagonale ha una finissima decorazione in azzurro e oro, in ogni vela dell’ottagono, c’è una finta apertura dove si vede l’azzurro del cielo all’esterno e un angelo per ogni spicchio sembra sospeso e si stacca dallo sfondo della volta. Sopra agli angeli, c’è un’altra corona d’angioletti, e ai piedi degli angeli ci sono gli apostoli che sembrano seduti sul cornicione. La volta assume un aspetto rotante con le figure d’angeli e apostoli che sembrano sospese e uscire nello spazio della volta. Alcuni autori, hanno attribuito quest’opera a Marco Palmezzano. E’ possibile che nel 1477, quando Melozzo lavorava a Roma, all’affresco per la biblioteca, abbia avuto anche la commissione per la sacrestia di San Marco che ha iniziato l’allievo Palmezzano.
Tra il 1472-74, nell’abside della Chiesa dei Santi Apostoli a Roma, affresca “l’Ascensione di Cristo”.
La figura del Cristo al centro, sembra uscire dalla volta creando l’effetto dello “scorcio”; dietro al Cristo uno sfondo di piccoli angeli. Contorna la figura del Cristo, altre immagini d’angeli musicanti che suonano diversi strumenti musicali e figure d’apostoli, nelle prospettive dall’alto al basso.
Le figure, riprendono la bellezza geometrica e razionale di Piero della Francesca.
Nel 1711, anche quest’affresco è stato staccato, seguendo due destinazioni: il Cristo fu portato al Palazzo del Quirinale, mentre degli angeli e apostoli, si sono conservate solo le teste che si trovano nei Musei Vaticani, nella quarta sala, indicativa dell’esistenza di una “scuola forlivese” di pittura del Rinascimento.
Melozzo, a Roma nel 1477 e dipinge un affresco che celebra la fondazione della biblioteca Vaticana: Sisto IV della Rovere consegna a Bartolomeo Platina la Biblioteca apostolica. L’affresco celebra il riconoscimento da parte della chiesa della cultura umanistica. Le figure sono inserite in una profonda prospettiva architettonica dipinta che rappresenta la biblioteca e la classicità monumentale delle sue forme. Per la prima volta, l’architettura dipinta, fa da scenario illusionistico alle figure. Nello spazio illusorio dell’architettura classica, le figure sono più grandi. L’architettura finta, aumenta la scala delle figure. Melozzo porta la figura umana a scala monumentale e dopo di lui, questo modo di dipingere le figure, sarà ripreso dal Bramante. L’affresco è stato staccato nel 1825 ed oggi si trova ai Musei Vaticani. Questa è l’unica opera di cui si ha la certezza della data riscontrabile dal pagamento dell’opera.
Il Rinascimento ha come base la centralità dell’uomo rispetto all’universo e questo dipinto rispecchia pienamente i concetti propri del Rinascimento. Il 17 dicembre 1478, è presente alla costituzione dell’Accademia di San Luca ed è denominato “Pittore Papale”. In quel periodo, la Romagna, faceva parte dello Stato della Chiesa e l’opera di Melozzo resta circoscritta nello stato pontificio. A Roma, esegue vari affreschi per altre chiese di cui restano poche tracce e frammenti.
Nel 1484, dopo la morte di Sisto IV, Melozzo, ritorna a Forlì dove mancava da venti anni. Nel 1489, ritorna ancora a Roma, per qualche anno. Melozzo, a Roma ha eseguito i disegni per la cappella di S. Elena, decorati a mosaico, in Santa Croce di Gerusalemme. Nel 1493, fino a maggio, dipinge nel Palazzo Comunale d’Ancona. Ritorna ancora a Forlì e con Marco Palmezzano e altri aiuti, affresca la cappella Feo nella chiesa del quartiere San Biagio, fino alla fine avvenuta l’otto novembre 1494. Doveva essere l’opera più grande, ma è stata distrutta da una bomba nel 1944. La fortuna non è mai stata dalla sua parte.
Sono attribuite dalla critica a Melozzo, alcune tempere su tavola o tela delle quali non esiste prova certa; altre, sono state attribuite, poi disconosciute. Nella Basilica di San Marco a Roma c’è il San Marco Papa, una tempera su tela di m. 1,95×1,18. Diversi critici, la ritengono un’opera del primo periodo, databile attorno al 1470.
Nella stessa chiesa, c’è anche un’altra tempera su tela di m. 1,95×1,18 che rappresenta il San Marco Evangelista, databile attorno al 1469. In queste opere, diversi critici, vedono l’influenza dell’arte fiamminga di Giusto di Gand che lavora a Roma e Urbino. Alla Galleria degli Uffizi a Firenze, attribuite a Melozzo, ci sono due tavole 116×60, dipinte su fronte e retro. Una è l’Angelo annunciante, con San Prosdocimo sul retro; l’altro rappresenta la Vergine annunciata e sul retro il San Giovanni evangelista.
A Melozzo, sono state dedicate tre mostre. Nel 1938, “Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo”, a cinquecento anni dalla nascita. Nel 1994; “Melozzo e la sua città”, a cinquecento anni dalla motre. Nel 2011, “Melozzo, l’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello”, allestita ai Musei San Domenico di Forlì, dove ci sono stati molti prestiti di importanti opere d’arte di artisti operanti nel periodo di Melozzo.
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